Parere del Consiglio di Stato – III Sezione – Adunanza del 10 dicembre 1996 n. 1813

“Quesito concernente l’applicazione della legge 5 febbraio 1992 n. 104 (assistenza delle persone handicappate)”

Vista la relazione del ministero delle Finanze, direzione generale degli Affari Generali e del Personale, del 20 luglio 1996, con la quale viene chiesto il parere del Consiglio di Stato in ordine all’affare in oggetto;
(omissis)
PREMESSO
(omissis)
CONSIDERATO
(omissis)

Ritiene la Sezione di condividere l’impostazione ermeneutica offerta dall’amministrazione riferente.
Ed invero, la legge 5 febbraio 1992 n. 104, agli artt. 21 e 33, detta alcune disposizioni di favore per i soggetti portatori di handicap impegnati nel mondo del lavoro e per i familiari che accudiscono tali soggetti bisognosi di assistenza, nell’ambito dei migliore inserimento sociale e familiare degli stessi.
Tale disciplina, che trova diretto fondamento in principi di solidarietà sociale di rango costituzionale in materia di salute, famiglia, istruzione e lavoro, non può che avere carattere derogatorio rispetto all’ordinaria regolamentazione delle assegnazione di sedi di servizio ai dipendenti, sia in via di prima assegnazione che di successivo trasferimento.
Infatti, la disciplina ordinaria nella materia in questione risponde all’esigenza di un ordinato assetto dell’organizzazione amministrativa, che è esigenza di rango sottordinato rispetto alla necessità di ripristinare, per quanto possibile, condizioni di uguaglianza nei confronti dei soggetti portatori di handicap, tenuto conto della rilevanza costituzionale, come sopra accennato, di tale finalità (cfr., sul punto, Corte Cost., 21-29 ottobre 1992 n. 406). Tale assetto di valori, nella gerarchia dettata dai principi della Carta Costituzionale, trova d’altronde conferma nelle deroghe a favore degli invalidi previste in materia di assunzioni e di avviamento al lavoro, nonché relativamente alle provvidenze economiche e sociali dettate a favore dei predetti soggetti.

A tale argomentazione di carattere costituzionale si può, altresì, aggiungere una notazione sul piano più strettamente logico-formale: gli artt. 21 e 33 della legge n. 104/1992 si configurano, infatti, quali disposizioni di una lex specialis rispetto alle norme di carattere generale in materia di assegnazioni e trasferimenti.
Di conseguenza, le stesse non possono ritenersi implicitamente abrogate neppure dalle norme successivamente intervenute, sul piano generale, in ordine all’allocazione del personale nell’ambito delle pubbliche amministrazioni.
Quanto alla operata distinzione tra le ipotesi disciplinate dall’art. 21 della legge n. 104/1992, relativamente alle quali sarebbe configurabile un diritto soggettivo da parte dell’interessato, e le ipotesi previste dall’art. 33, qualificabili sotto la specie dell’interesse legittimo, osserva la Sezione come in entrambi i casi, ed a prescindere dalla qualificazione teorica della situazione giuridica soggettiva, la “prelazione” a favore del soggetto individuato possa operare solo nel caso in cui esista il posto vacate nella sede di destinazione richiesta.
Nessun’altra condizione legittimante può essere a tale proposito prevista, altrimenti venendosi in pratica a vanificare, come correttamente evidenziato dall’Amministrazione riferente, la posizione soggettiva del soggetto interessato.
In particolare, non potrà essere richiesto l’obbligo di permanenza nella prima sede di servizio per un determinato numero di anni, atteso che, come sopra evidenziato, tale obbligo non può che valere per soggetti non contemplati dalla legge n. 104/1992: richiamando le considerazioni in precedenza esposte, il subordinare la possibilità di avvicinamento del portatore di handicap (o del soggetto comunque tutelato) all’obbligo di permanenza per alcuni anni nella prima sede di servizio significherebbe subordinare l’esigenza di tutela del soggetto debole alle necessità organizzative dell’Amministrazione, in violazione della scala di valori dettata dai principi di rango costituzionale sopra richiamati.

Anche in relazione al dubbio interpretativo relativo all’art. 33, comma 5, della legge n. 104/1992, ritiene la Sezione che occorra formulare un’ipotesi ermeneutica che sia in linea con i principi in precedenza esposti: infatti, ritenere che la norma possa operare solo in presenza di una convivenza in atto tra il familiare dipendente e l’handicappato significa attribuire alla norma una portata eccessivamente limitata, non in sintonia con la ratio dell’intero costrutto della legge. Infatti, richiedere la convivenza in atto stricto jure tra il soggetto bisognoso di assistenza e il dipendente che chiede l’avvicinamento impedisce, in pratica, di rendere concretamente applicabile la norma, atteso che proprio la lontananza dal nucleo familiare nel quale è annoverato il soggetto potatore di handicap impedisce quella convivenza che, invece, dovrebbe fungere da presupposto di ammissibilità della domanda di trasferimento.

Appare pertanto condivisibile, nell’abito di una interpretazione che tenga conto anche dell’aspetto equitativo afferente la norma in questione, l’avviso espresso in merito dal dipartimento della Funzione Pubblica, secondo cui deve ritenersi sufficiente che il soggetto portatore di handicap conviva con la famiglia del lavoratore richiedente il trasferimento.
La sezione non ignora che la Corte Costituzionale, con sentenza del 29 luglio 1996 n. 325, ha espresso un diverso avviso in proposito, ma ciò non impedisce che tale, pur autorevole, indirizzo interpretativo possa essere disatteso dall’operatore pratico, alla luce di un meditato ripensamento della questione; trattasi, infatti, di una decisione di rigetto del Giudice delle leggi, in quanto tale vincolante sul piano ermeneutico solo nell’ambito del procedimento nell’ambito del quale la questione è stata sollevata.
Orbene, proprio al fine di non vanificare la tutela offerta dal legislatore ai soggetti portatori di handicap, occorre attribuire al requisito della convivenza una portata più ampia della stretta consistenza nell’ambito dello stesso domicilio, potendovi rientrare tutti quei casi in cui, ancorché si sia verificato l’allontanamento dal nucleo familiare per ragioni di lavoro, siano comunque rimasti stretti legami di assistenza morale e materiale tra il lavoratore ed il soggetto handicappato, nell’attesa di ripristinare la convivenza proprio mediante il richiesto trasferimento in sede di servizio vicina alla residenza del nucleo familiare.
Né possono riverberare effetti sul piano interpretativo eventuali disfunzioni originate da un distorto utilizzo di tali istituti da parte di soggetti estranei alla tutela della legge n. 104/1992, dovendo tali abusi essere sanzionati sul piano disciplinare (o, eventualmente, penale), ma non potendo ciò dettare una interpretazione che, al fine di colpire l’abuso, in effetti escluda dal beneficio soggetti che ne abbiano diritto.

P.Q.M.

nel senso suindicato è il parere della Sezione.

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