Circolare ministeriale – Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica – 25 ottobre 2000 – prot. 094909)
“Nuove disposizioni per il sostegno delle maternità e della paternità – Congedi parentali – (Legge 8 marzo 2000, n. 53)”.
Sulla G.U. del 13 marzo u.s. è stata pubblicata la legge 8 marzo 2000, n. 53 recante “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”.
La suddetta legge ha, tra l’altro, introdotto alcune modifiche alle leggi:
- 30 dicembre 1971, n. 1204 “Tutela delle lavoratrici madri”;
- 9 dicembre 1977, n. 903 “Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro”;
- 5 febbraio 1992, n. 104 “Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”.
Le innovazioni apportate, soprattutto in materia di “congedi parentali”, sono di una certa consistenza per cui si ritiene utile, al fine di assicurare uniformità di comportamento all’azione amministrativa, delineare i contorni della nuova disciplina che è venuta ad instaurarsi, tenendo, tuttavia, conto che le previsioni del vigente Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del comparto Ministeri prevalgono, se più favorevoli, sulla legge stessa, stante quanto disposto anche dall’art. 17 – comma 3 – della legge in oggetto.
Per una ricostruzione organica della materia e per una più facile consultazione della presente circolare, saranno affrontati analiticamente gli istituti principali che vigono sull’argomento soffermandosi prevalentemente sulle innovazioni introdotte dalla legge 53/2000 che saranno opportunamente evidenziate con carattere in grassetto.
Astensione obbligatoria
L’art. 4 della legge 1204/71 prevede, com’è noto, l’astensione obbligatoria delle donne nei due mesi precedenti e nei tre mesi successivi al parto.
L’art. 6 della legge 903/77 riconosce il diritto (non quindi obbligo di astensione) delle lavoratrici che abbiano adottato bambini, o che li abbiano ottenuti in affidamento preadottivo, di assentarsi, durante i tre mesi successivi all’effettivo ingresso del bambino in famiglia, purché il bambino non abbia superato i sei anni di età. In caso contrario il diritto non sussiste, salvo che per le adozioni e gli affidamenti disciplinati da norme di diritto internazionale per i quali valgono regole più favorevoli. Il diritto è esercitabile, in alternativa, dal padre adottivo o affidatario nel caso in cui la madre abbia rinunciato a fruirne, o sia deceduta oppure il bambino sia affidato in via esclusiva allo stesso. Il periodo decorre dal giorno successivo a quello di effettivo ingresso del bambino nella famiglia adottiva.
L’art. 11 della legge 53/2000 introduce, nel contesto dell’astensione obbligatoria, l’ipotesi del parto prematuro che comporta, qualora si verifichi, che i giorni non goduti di astensione obbligatoria, prima del parto, vengano aggiunti al periodo di astensione obbligatoria dopo il parto.
La lavoratrice è tenuta a presentare, entro trenta giorni, il certificato attestante la data del parto o la relativa autocertificazione.
L’art. 12 della citata legge 53/2000 introduce poi il principio della flessibilità dell’astensione obbligatoria, secondo cui, “Ferma restando la durata complessiva dell’astensione dal lavoro, le lavoratrici hanno la facoltà di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto, a condizione che il medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale operazione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro”. Con decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministero della Sanità, saranno individuati i lavori a cui non si applica detta disposizione.
In questo ambito è importante richiamare anche l’art. 13 della legge 53/2000 in merito all’estensione dal lavoro, in presenza di certi presupposti, del padre lavoratore. Non ci troviamo di fronte ad un obbligo di astensione, ma ad un diritto esercitabile, nei primi tre mesi dalla nascita del figlio, in caso:
a) di morte o di grave infermità della madre;
b) di abbandono da parte della madre;
c) di affidamento esclusivo del bambino al padre.
Nel caso in cui il padre intenda avvalersi del diritto è tenuto a presentare la certificazione relativa alle condizioni richieste. Se si tratta di abbandono può produrre una dichiarazione ai sensi dell’art. 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15.
L’astensione del padre è, dalla legge, equiparata a tutti gli effetti a quella della madre. Ne consegue, per interpretazione analogica, che si applica l’art. 18-bis, integrativo del Ccnl 94/97, ed in particolare che l’assenza per astensione obbligatoria comporta, comunque, la corresponsione dell’intera retribuzione, compresa l’indennità di amministrazione, la non riduzione delle ferie e la non incidenza sull’anzianità di servizio.
Astensione obbligatoria anticipata
La legge 53/2000 non ha innovato l’istituto, per cui resta tutto invariato come da normativa precedente.
Astensione facoltativa
La vecchia disciplina (art. 7, legge 1204/71) consentiva alla madre di assentarsi, trascorso il periodo di astensione obbligatoria, per un periodo di sei mesi, entro il primo anno di vita del bambino. La legge 903/77 riconosceva lo stesso diritto al padre lavoratore, anche se adottivo o affidatario, in alternativa alla madre lavoratrice o quando i figli fossero affidati al solo padre.
Secondo l’art. 18-bis, integrativo del Ccnl 94/97, nell’ambito complessivo del suddetto periodo di sei mesi di astensione facoltativa dal lavoro, i primi trenta giorni, fruibili anche frazionatamente dalla madre o, in alternativa, dal padre, sono considerati assenze retribuite per le quali spetta l’intera retribuzione, compresa l’indennità di amministrazione. Per i restanti cinque mesi alle madri, o in alternativa ai padri, spetta il 30% dell’intera retribuzione, compresa l’indennità di amministrazione.
Ciò detto, occorre precisare che la nuova legge è molto innovativa sull’argomento.
Un primo principio introdotto dall’art. 3 della legge 53/2000 è dato dal fatto che il diritto di astensione facoltativa dal lavoro, ed il relativo trattamento economico, sono riconosciuti anche se l’altro genitore non ne ha diritto. La norma ha senso soltanto per il padre in quanto soltanto per quest’ultimo la fruibilità era condizionata dal fatto che la madre fosse lavoratrice e operava secondo il criterio dell’alternatività. Per la madre detta condizione non è mai sussistita.
Oltre a ciò, la nuova normativa estende il periodo di utilizzazione dell’astensione facoltativa fino al compimento di otto anni di vita del bambino e prevede il diritto di entrambi i genitori di astenersi dal lavoro per un periodo massimo complessivo di dieci mesi. Nell’ambito di detto periodo, il diritto di astenersi dal lavoro compete:
1) alla lavoratrice madre, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi;
2) al lavoratore padre, per un periodo continuativo o frazionato non superiore ai sei mesi (tale diritto è diventato, pertanto, un diritto proprio, come per la madre, e non più derivato). Qualora il padre lavoratore eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo non inferiore a tre mesi, il suddetto limite è elevato a sette mesi e il limite complessivo delle astensioni dal lavoro dei genitori è, di conseguenza, elevato ad undici mesi (c.d. bonus);
3) ad un solo genitore, qualora sia solo o qualora sia l’unico ad averne diritto, per un periodo continuativo o frazionato non superiore ai dieci mesi. La situazione di genitore “solo” può verificarsi in caso di morte di uno dei due, di abbandono del figlio da parte di uno di essi, ovvero di affidamento del figlio ad uno solo dei genitori risultante da un provvedimento formale.
Sul piano economico, la legge prevede che alle lavoratrici ed ai lavoratori, è dovuta, fino al terzo anno di vita del bambino, il 30 per cento della retribuzione, per un periodo massimo complessivo, tra genitori, di sei mesi.
La legge stabilisce, inoltre, che l’assenza consentita fino al terzo anno di vita del bambino è computata ai fini dell’anzianità di servizio, ma non ai fini delle ferie e della tredicesima mensilità. Il periodo è coperto integralmente sotto il profilo contributivo.
Occorre qui precisare che l’art. 18-bis, integrativo del Ccnl 94/97, resta vigente, perché più favorevole, nella parte in cui prevede che i primi trenta giorni di astensione facoltativa, fruibili, anche frazionatamente, sono considerati assenze retribuite per le quali spetta l’intera retribuzione, compresa l’indennità di amministrazione.
Detti giorni possono essere richiesti, anche in modo frazionato, contemporaneamente dai genitori ed ai fini della retribuzione intera si considera il cumulo dei giorni di ciascuno fino ad arrivare a trenta. Il dipendente dovrà a tal fine produrre apposita autocertificazione attestante il periodo che il coniuge ha usufruito o intende usufruire ad assegni interi. Questi primi trenta giorni sono usufruibili fino al terzo anno di vita del bambino.
Per il periodo in cui spetta la retribuzione intera, le ferie e la tredicesima mensilità si maturano regolarmente, mentre, per il periodo in cui la retribuzione è corrisposta al 30%, le ferie e la tredicesima mensilità sono ridotte in misura proporzionale.
Da 3 anni fino ad 8 anni, e comunque per il restante periodo di astensione facoltativa, la legge prevede il 30 per cento della retribuzione se il genitore richiedente ha un reddito individuale, nell’anno in cui esercita il diritto, inferiore a due volte e mezzo il trattamento minimo pensionistico fissato annualmente dall’Inps (per il 2000 l’importo minimo è pari a lire 9.371.700 che, moltiplicato per 2,5, è uguale a lire 23.429.250). Il dipendente dovrà, a tal fine, produrre apposita autocertificazione attestante che il proprio reddito annuo non supera la predetta cifra. In caso di reddito superiore le assenze non sono retribuite. Il periodo è computato ai fini dell’anzianità di servizio, ma non ai fini delle ferie e della tredicesima mensilità. Sotto il profilo contributivo, è coperto parzialmente, salva la facoltà di integrazione da parte dell’interessato.
Per il predetto periodo, la legge 53/2000 ha innovato integralmente onde non è possibile rinvenire una norma contrattuale di maggior favore.
La predetta disciplina si applica anche nei confronti dei genitori adottivi o affidatari. Qualora, all’atto dell’adozione o dell’affidamento, il minore abbia un’età compresa fra sei e dodici anni, il diritto di astenersi dal lavoro può essere esercitato nei primi tre anni dall’ingresso del minore nel nucleo familiare. Si precisa, infine, che nel caso in cui l’astensione facoltativa (ma anche quella obbligatoria) sia stata fruita per intero a seguito di affidamento preadottivo, non potrà essere riconosciuto un nuovo periodo di astensione in conseguenza del provvedimento di adozione che faccia seguito a quello di affidamento.
Ai fini dell’esercizio del diritto di astensione facoltativa, il genitore è tenuto, salvo casi di oggettiva impossibilità, ad informare il dirigente con un periodo di preavviso non inferiore ai quindici giorni.
Poiché non vige più il criterio dell’alternatività, si presume che la madre ed il padre possano utilizzare l’astensione facoltativa anche contemporaneamente ed il padre la può utilizzare anche durante i tre mesi di astensione obbligatoria post-partum della madre e durante i periodi nei quali la madre beneficia dei riposi orari per allattamento.
Frutto di interpretazione sistematica è anche il principio secondo cui, a decorrere dall’entrata in vigore della legge, i genitori di bambini, di età inferiore ai tre anni, che non hanno usufruito, nel primo anno di vita dei sei mesi complessivi di astensione facoltativa, possono usufruirne nei termini sopra indicati, previa detrazione di eventuali periodi già goduti. Lo stesso dicasi per i genitori di bambini di età compresa trai tre e gli otto anni, sempre nel rispetto dei modi e dei vincoli imposti dalla normativa. A tal fine dovranno presentare un’autocertificazione attestante il periodo precedentemente goduto, ad assegni interi o ridotti, ai fini del calcolo del periodo residuo.
Periodi di riposo (ore di allattamento)
L’art. 10 della legge 1204/71 prevede che, per il primo anno di vita del bambino, il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri due periodi di riposo, di un’ora ciascuno, anche cumulabili, durante la giornata.
La legge 53/2000, all’art. 13, prevede che i periodi di riposo di cui sopra siano estesi anche al padre lavoratore nei seguenti casi:
- quando i figli siano affidati al solo padre;
- in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga; questa ipotesi riguarda anche il caso di lavoratrice dipendente che non se ne può avvalere in quanto appartenente a categoria non avente diritto ai riposi in questione. Non possono essere richiesti dal padre i periodi di riposo quando la madre fruisce di astensione obbligatoria o facoltativa;
- nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente, ovvero sia lavoratrice autonoma. E’ da ritenere escluso un diritto del padre ai riposi orari quando la madre non svolge attività lavorativa, fatta salva l’ipotesi di grave infermità.
Altra novità introdotta dalla legge 53, da richiamare in questo contesto, riguarda il caso di parto plurimo che comporta, ai sensi dell’art. 3, comma 3, che il periodo di riposo di due ore sia raddoppiato (indipendentemente dal numero dei bambini) e che le ore aggiuntive possano essere utilizzate anche dal padre.
Le ore di cui sopra sono pienamente retribuite.
Malattia dei figli
Richiamiamo, sull’argomento, la nuova disciplina dettata dalla legge 53/2000, specificando, tuttavia, che, in buona parte, prevale su di essa la normativa contrattuale più favorevole.
L’art. 3, comma 4, della legge prevede che entrambi i genitori, alternativamente, hanno diritto di astenersi dal lavoro per malattia del bambino di età inferiore a otto anni, dietro presentazione di certificato rilasciato da un medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato. Fino a tre anni le assenze possono essere illimitate mentre, invece, da tre a otto anni è fissato un limite di cinque giorni lavorativi all’anno per ciascun genitore. Il limite dei cinque giorni non può essere superato neppure nel caso in cui uno dei genitori rinunci ai propri giorni.
Fino al terzo anno dette assenze non sono retribuite ma sono coperte integralmente sotto il profilo contributivo. Successivamente al terzo anno, non sono retribuite e, sotto il profilo contributivo sono coperte parzialmente, salva la facoltà di integrazione da parte dell’interessato.
Dette assenze incidono sulle ferie e sulla tredicesima ma non sull’anzianità.
Sono, inoltre, riconosciute nei termini di cui sopra anche se l’altro genitore non ne ha diritto.
Ai fini della fruizione del congedo per malattia del figlio, la lavoratrice ed il lavoratore sono tenuti a presentare una dichiarazione, ai sensi dell’art. 4 della legge 15/68, attestante che l’altro genitore non sia in astensione dal lavoro negli stessi giorni per il medesimo motivo. (E’ evidente che tale adempimento si rende necessario solo nella circostanza in cui ambedue i genitori siano lavoratori dipendenti). Secondo l’art. 18-bis, integrativo del Ccnl 94/97, norma prevalente, dopo il primo anno di vita del bambino e fino al compimento del terzo anno, la madre, o in alternativa il padre, hanno diritto, nei casi di malattia del figlio, ad un massimo di trenta giorni di assenza retribuita per ciascun anno di età del bambino. Ciò senza riduzione di ferie e di anzianità di servizio. I periodi superiori ai trenta giorni nell’arco del secondo e del terzo anno soggiacciono alla disciplina della legge così come le assenze per malattia nel primo anno di vita. Anche dal terzo anno in poi, in assenza di una norma contrattuale, si applica la legge. Il cumulo dei giorni a retribuzione intera usufruiti dai due genitori non deve mai superare i trenta.
Si aggiunge, infine, che, ai sensi dell’art. 3, comma 4, della legge 53/2000, la malattia del bambino che dia luogo a ricovero ospedaliero interrompe il decorso del periodo di ferie in godimento da parte del genitore.
La normativa di cui sopra si applica anche ai genitori adottivi o affidatari. Se, all’atto dell’adozione o dell’affidamento, il minore ha un’età compresa tra i sei ed i dodici anni, le assenze per malattia sono concesse per i primi tre anni dall’ingresso nel nucleo familiare.
Permessi per l’assistenza di portatori di handicap
Rispetto alla legge 104/1992, le innovazioni introdotte dalla legge 53/2000 riguardano i seguenti aspetti:
- non è più condizionato alla convivenza con il soggetto portatore di handicap sia il diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, spettante al genitore o al familiare lavoratore che assiste con continuità e in via esclusiva un parente, o affine fino al terzo grado, handicappato grave, sia il diritto di non poter essere trasferito ad altra sede, senza il consenso, spettante agli stessi soggetti;
- il lavoratore handicappato maggiorenne, in situazioni di gravità, può usufuire alternativamente di due ore di permesso giornaliero retribuito, fino ad un massimo di 18 ore mensili, oppure di tre giorni di permesso mensili (fruibili anche continuativamente).
Per il resto resta confermata la precedente disciplina.
Altri congedi parentali, familiari e formativi
La legge introduce la possibilità di usufruire di congedi per diverse ragioni. La materia, nel settore pubblico, è già ampiamente disciplinata con norme di maggior favore previste dal vigente Ccnl.
Si prega di dare alla presente circolare la massima diffusione.