La Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è espressa sulla causa C-5/24, sollevata dal Tribunale ordinario di Ravenna, in merito al licenziamento di una lavoratrice disabile dopo il superamento del periodo massimo di assenza per malattia previsto dal Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro del settore turismo.

La controversia riguardava dipendente con disabilità di una piccola impresa di ristorazione, licenziata dopo 180 giorni di assenza retribuita per gravi problemi di salute. La lavoratrice sosteneva che la norma collettiva, uguale per tutti i dipendenti, risultasse discriminatoria perché non teneva conto della sua condizione di disabilità.

La Corte ha chiarito che la normativa italiana, che prevede la conservazione del posto per 180 giorni (più eventuali 120 giorni di aspettativa non retribuita), non viola di per sé la direttiva europea 2000/78/CE sulla parità di trattamento, a condizione che sia proporzionata e non impedisca l’adozione di “soluzioni ragionevoli” per le persone con disabilità.

I giudici hanno precisato che la semplice previsione di un periodo di assenza non retribuita non costituisce, da sola, una soluzione ragionevole, e che spetta ai giudici nazionali verificare se siano state adottate misure idonee ad agevolare la permanenza al lavoro delle persone con disabilità.

Le questioni relative all’eventuale obbligo del datore di lavoro di concedere ulteriori periodi retribuiti sono state dichiarate irrilevanti.

La sentenza ribadisce il principio secondo cui i datori di lavoro non sono obbligati a mantenere in servizio un lavoratore non più idoneo, ma devono valutare soluzioni pratiche per consentirgli di conservare l’impiego, a meno che ciò comporti un onere sproporzionato.

 

News a cura del Centro Studi Giuridici HandyLex

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