Con la sentenza n. 94 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 16, della legge n. 335 dell’8 agosto 1995, nella parte in cui non esclude dal divieto di applicazione dell’integrazione al minimo l’assegno ordinario di invalidità erogato tramite il sistema contributivo. Infatti, attualmente, le persone con disabilità che ricevono il suddetto assegno, liquidato però con il sistema retributivo, vedono già applicata al beneficio tale integrazione.
Per “integrazione al minimo” dei trattamenti pensionistici si intende un meccanismo che mira ad aumentare l’importo della pensione fino a raggiungere una soglia minima stabilita dalla legge, che corrisponde, a livello quantitativo, all’importo dell’assegno sociale, ovvero 538,69 euro.
Secondo i giudici costituzionali, l’esclusione dell’integrazione al minimo per l’assegno ordinario di invalidità erogato a coloro che si sono iscritti al sistema pensionistico dopo il 1995 — ovvero con il sistema contributivo — costituisce una violazione dell’articolo 3 della Costituzione. Anche tali soggetti, secondo la Corte, devono ricevere un assegno che abbia un importo “minimo” pari a quello dell’assegno sociale, da integrarsi attraverso la fiscalità generale.
La Corte motiva questa decisione richiamando la natura favorevole che caratterizza la disciplina dell’assegno ordinario di invalidità, contenuta nella legge n. 222 del 1984. Essa, infatti, prevede per il riconoscimento del diritto alla prestazione un regime agevolato: la riduzione della capacità lavorativa a meno di un terzo; cinque anni di contributi versati, di cui almeno tre nel quinquennio precedente la data di presentazione della domanda. Trattamento favorevole, questo, che — come sottolineato nella sentenza — non è stato modificato dal legislatore neppure quando, con la legge n. 335/1995, è stato stabilito e delineato il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo.
Tra le sue motivazioni, la Corte richiama anche la ratio dell’assegno ordinario di invalidità, che, per i giudici, risiede nella sua funzione di “sopperire a situazioni in cui il lavoratore ha perso, per via dell’invalidità, una rilevante percentuale della sua capacità lavorativa e, quindi, la possibilità di accumulare un montante contributivo adeguato”. Proprio in ragione dello “stato di bisogno del beneficiario di questa tutela, egli potrebbe necessitare dell’assegno sociale ben prima del compimento dell’età pensionabile e, in caso di assegno ordinario di invalidità di importo modesto, potrebbe essere esposto al rischio di rimanere, anche per lungo tempo, privo di qualsiasi ulteriore supporto economico, là dove:
a) non sussistano i requisiti per ricevere anche l’assegno di invalidità civile;
b) non abbia una composizione familiare oppure una situazione reddituale o personale che gli consenta di usufruire di ulteriori sostegni, come l’assegno unico e universale oppure l’assegno di inclusione;
c) non abbia la possibilità di trovare altre “occupazioni confacenti alle sue attitudini”, nonostante le misure previste dalla legge n. 68 del 1999, recante norme per il diritto al lavoro dei disabili.”
I giudici, nell’affermare quindi che l’impossibilità di applicare l’integrazione al minimo relativamente al già menzionato assegno è incostituzionale, hanno chiarito che “le eventuali somme riconosciute grazie all’integrazione, in presenza di reddito di lavoro, sarebbero comunque sottoposte alla riduzione connessa all’ammontare di quest’ultimo, prevista dalla legge n. 222/1984”.
La sentenza in oggetto, emanata in data 3 luglio 2025, non ha effetti retroattivi, ma comporterà solamente l’eventuale aumento dell’importo erogato in futuro.
Qui trovate il testo della sentenza.