Con l’ordinanza n. 24994 dell’11 settembre 2025, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in materia di licenziamento del lavoratore divenuto inabile a causa di sopravvenuta disabilità, ribadendo il principio secondo cui il recesso datoriale è ammissibile soltanto a seguito della verifica, seria e documentata, dell’impossibilità di adottare accomodamenti ragionevoli ai sensi della normativa vigente.

 

Quadro normativo di riferimento

La disciplina applicabile è contenuta nel D.lgs. n. 216/2003, attuativo della Direttiva 2000/78/CE, che vieta qualsiasi forma di discriminazione fondata sulla disabilità nel contesto lavorativo e impone ai datori di lavoro, pubblici e privati, l’obbligo di adottare misure appropriate, ove non eccessivamente onerose, per garantire alle persone con disabilità la possibilità di svolgere un’attività lavorativa adeguata.

Tali accomodamenti ragionevoli possono consistere, ad esempio, nel:

  • mutamento delle mansioni;
  • modifica dell’orario o della sede/postazione di lavoro;
  • riorganizzazione delle attività compatibili con le residue capacità del lavoratore.

 

Condizioni di legittimità del licenziamento

Secondo l’orientamento consolidato della Cassazione, il licenziamento per inidoneità sopravvenuta è legittimo soltanto ove sia oggettivamente impossibile, e debitamente dimostrato dal datore di lavoro, individuare soluzioni ragionevoli che consentano al lavoratore di continuare a rendere una prestazione utile, pur in forma adattata.

La mera constatazione dell’inidoneità alla mansione originaria non è sufficiente: il datore deve attivarsi in modo positivo e attivo. Deve, inoltre, poter documentare l’impossibilità di attuare ogni possibile alternativa in una modalità compatibile con l’organizzazione azienda e non troppo onerosa per quest’ultima

 

Il caso concreto: lavoratrice inidonea parziale

Nel caso oggetto dell’ordinanza, una dipendente della società “Due Ragni S.r.l.”, impiegata come barista, aveva subito un grave infortunio che ne aveva limitato la capacità fisica (in particolare, impossibilità di rimanere in piedi a lungo e di sollevare carichi).

Nonostante l’idoneità condizionata certificata, la lavoratrice veniva licenziata. Ella ricorreva in Cassazione sostenendo che l’azienda non avesse adempiuto all’onere di valutare soluzioni alternative e che la Corte d’Appello avesse mal interpretato la documentazione medica.

La Cassazione ha rigettato il ricorso, chiarendo che l’interpretazione delle risultanze documentali compete al giudice di merito e che, nel caso in esame, non sussistevano vizi logici o violazioni di legge tali da giustificare una revisione in sede di legittimità.

 

Principio di ragionevolezza

Elemento centrale della pronuncia è il riferimento al principio di ragionevolezza, da intendersi quale criterio di bilanciamento tra le esigenze del lavoratore con disabilità e l’organizzazione aziendale. Un accomodamento è considerato ragionevole quando:

  • consente al lavoratore di contribuire in modo significativo,
  • non comporta un onere sproporzionato per il datore,
  • non incide negativamente e in misura irragionevole sull’efficienza produttiva o sui colleghi.

Solo in presenza di tali condizioni, e previa dimostrazione dell’impossibilità di adottare soluzioni compatibili, il licenziamento può ritenersi conforme a legge.

 

Conclusioni

La decisione si inserisce in un orientamento giurisprudenziale sempre più rigoroso nella tutela del diritto al lavoro delle persone con disabilità, richiedendo al datore di lavoro una verifica concreta e non meramente astratta delle alternative al  licenziamento, il principio di non discriminazione si traduce così in un obbligo attivo di adattamento, la cui violazione può rendere nullo il licenziamento.

 

Approfondimento a cura del Centro Studi Giuridici HandyLex

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