Introduzione

Il 18 gennaio scorso, la Corte di Giustizia Europea ha emesso una significativa sentenza (Causa C 631/22 – J.M.A.R. vs. Ca Na Negreta SA) che affronta la questione degli accomodamenti ragionevoli e delle discriminazioni sul lavoro nei confronti delle persone con disabilità.

La sentenza, originata da un caso in Spagna nel corso del quale il Tribunale incaricato ha presentato domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, solleva importanti interrogativi sulla compatibilità delle normative nazionali con le direttive europee in materia di pari opportunità e diritti delle persone con disabilità.

La vicenda

Il caso ruota attorno a J.M.A.R., impiegato presso Ca Na Negreta come conducente di veicoli per la raccolta di rifiuti domestici. Nel dicembre 2016, J.M.A.R. ha subito un infortunio sul lavoro che ha comportato una frattura aperta del calcagno destro. Dopo essere stato dichiarato temporaneamente inabile al lavoro, J.M.A.R. ha chiesto all’azienda la riassegnazione a un ruolo più adatto alle sue nuove condizioni, richiesta questa che è stata inizialmente accettata dall’azienda, facendolo passare  da un posto di conducente a tempo pieno di veicoli a motore pesanti a un posto di conducente nel settore dei punti di raccolta mobili, che era fisicamente meno impegnativo, comportava un tempo di guida inferiore ed era compatibile con le sue menomazioni fisiche.

Successivamente tuttavia l’INSS – l’Istituto Nazionale di Previdenza Spagnolo – ha negato a J.M.A.R.  l’inidoneità permanente al lavoro. J.M.A.R. ha dunque proposto ricorso avverso tala decisione di diniego dell’INSS dinanzi al giudice competente, il quale, con sentenza del 2 marzo 2020, ha riconosciuto a J.M.A.R. un’inidoneità permanente totale ad esercitare la sua professione abituale. Tale riconoscimento ha tuttavia portato alla risoluzione del contratto da parte dell’azienda Ca Na Negreta nel marzo 2020, in virtù della normativa nazionale giuslavoristica spagnola che prevede la possibilità per il datore di lavoro di risolvere il rapporto una volta che il lavoratore si trovi in una condizione di inidoneità permanente totale ad esercitare la sua professione abituale.

J.M.A.R. ha contestato la decisione del datore, presentando ricorso avanti ai tribunali competenti. Tuttavia in prima battuta il giudice spagnolo competente ha respinto il ricorso di J.M.A.R., sostenendo che il riconoscimento dell’inidoneità permanente giustifica la cessazione del contratto senza alcun obbligo di riassegnazione da parte del datore di lavoro.

J.M.A.R.  ha dunque proposto appello, a seguito del quale il caso è arrivato al Tribunal Superior de Justicia de las Islas Baleares (Corte superiore di giustizia, isole Baleari, Spagna), che ha sollevato alcune questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia Europea.

Le questioni pregiudiziali

Le questioni pregiudiziali sollevate sono state le seguenti:

  1. Se l’articolo 5 della direttiva 2000/78, alla luce degli articoli 21 e 26 della Carta e degli articoli 2 e 27 della Convenzione dell’ONU, osti all’applicazione di una norma nazionale che preveda la cessazione automatica del contratto di lavoro a causa della disabilità del lavoratore senza l’obbligo di adottare “soluzioni ragionevoli”; e
  2. Se la cessazione automatica del contratto di lavoro senza l’obbligo di adottare “soluzioni ragionevoli”, in conformità con la normativa nazionale, costituisca una discriminazione diretta.

L’interpretazione della Corte di Giustizia Europea

Investita del caso, la Corte ha dichiarato che l’articolo 5 della direttiva 2000/78 deve essere interpretato nel senso di ostacolare una eventuale normativa nazionale che consente al datore di lavoro di porre fine al contratto di lavoro a causa dell’inidoneità permanente del lavoratore senza adottare preventivamente “soluzioni ragionevoli”.

Una tale normativa infatti, secondo la Corte, va contro l’obiettivo di garantire l’inclusione e l’occupazione delle persone con disabilità, come sancito dalla direttiva e dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, che è stata ratificata anche dall’Unione Europea come istituzione.

Nel caso di specie, la Corte ha rilevato come la normativa giuslavoristica invocata fosse stata emanata in tempi ben antecedenti quelli in cui era invece entrata in vigore la direttiva UE che disciplina le pari opportunità e le procedure anti-discriminatorie in tema di lavoro anche verso le persone con disabilità, sottolineando al tempo stesso come tale direttiva, essendo parte del diritto dell’Unione Europea, facesse comunque ufficialmente parte del quadro normativo spagnolo, essendo la Spagna uno Stato Membro dell’Unione Europea.

In particolare, una normativa nazionale in materia di previdenza sociale non può contravvenire alle disposizioni della direttiva 2000/78, come faceva per esempio nel caso in questione la normativa spagnola con l’art. 5 della Direttiva, erigendo la disabilità del lavoratore a causa di licenziamento, senza prevedere che il datore di lavoro dovesse prima prevedere o mantenere accomodamenti ragionevoli al fine di consentire a tale lavoratore di conservare il posto di lavoro – né dimostrare, eventualmente, che siffatte soluzioni costituirebbero un onere sproporzionato.

Conclusione

La sentenza della Corte di Giustizia Europea sottolinea l’importanza degli accomodamenti ragionevoli, sottolineando al tempo stesso la necessità di prendere in considerazione la normativa europea nella valutazione dei casi discussi anche a livello nazionale per la promozione dell’inclusione sul luogo di lavoro.

La decisione potrebbe avere un impatto importante sulla revisione delle normative nazionali in tutta l’Unione Europea per garantire un trattamento equo e non discriminatorio per le persone con disabilità nel contesto lavorativo, in linea con le direttive europee sul tema.

 

News a cura del Centro Studi Giuridici HandyLex
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