Nella Gazzetta Ufficiale (Serie Speciale – Corte Costituzionale) n. 30 del 22 luglio 2020 è stata dunque pubblicata l’attesa Sentenza 152 con cui la Corte Costituzionale ha imposto l’incremento delle pensioni agli invalidi civili totali e innescato la revisione, per via legislativa o giurisprudenziale, di altri emolumenti assistenziali.
Nella disamina della Corte e nelle argomentazioni a supporto della Sentenza emergono elementi di principio e di cultura estremamente rilevante, richiamando oltre ai principi della Carta anche la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. E non possono sfuggire pregnanti riflessioni attorno alle misure che dovrebbero garantire il soddisfacimento di elementari bisogni di vita o sui vincoli di bilancio che non possono prevalere sugli incomprimibili diritti costituzionali. Ma lasciando queste considerazioni ad altri analisti, ci concentriamo sugli effetti pratici che che la Sentenza produrrà, aspetto su cui vi è un diffuso interesse.
Al termine di una lunga battaglia di una famiglia piemontese, di una ottima associazione torinese (UTIM) e di bravi legali, la Corte Costituzionale si pronuncia su un dubbio di legittimità costituzionale sollevato dalla Corte di appello di Torino, alla fine ritenendo che la pensione di soli 285,66 euro mensili sia manifestamente inadeguata a garantire a persone totalmente inabili al lavoro i “mezzi necessari per vivere” e perciò violi il diritto riconosciuto dall’articolo 38 della Costituzione, secondo cui “ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”.
La decisione viene assunta nella seduta del 23 giugno, la Sentenza, che prende il numero 152, viene pubblicata appunto il 20 luglio scorso in Gazzetta ufficiale. Teniamolo a mente perché gli effetti (gli incrementi) partono dal giorno dopo.
L’antefatto
Ma qual è la norma censurata? Bisogna compiere un salto indietro di quasi vent’anni. Nel 2001 uno dei punti della campagna elettorale del centrodestra, che poi vinse le elezioni con Berlusconi premier, fu l’incremento delle maggiorazioni sociali affinché a tutte le persone di età pari o superiore a settanta anni fosse garantito un reddito proprio pari a 516,46 euro al mese per tredici mensilità.
La promessa elettorale fu mantenuta alla prima legge finanziaria utile e cioè la legge 448/2001. All’articolo 38 era previsto proprio quell’aumento (fino 516,46 euro minimo per tutti) per gli over 70 anni. Il limite anagrafico si abbassa a 60 anni nel caso il pensionato sia invalido civile, cieco civile, sordo. Viene però posto un limite reddituale 6.713,98 euro annui (che poi sarebbero 13 mensilità di pensione minima). Lo stesso articolo prevede che per gli anni successivi al 2002, il limite di reddito annuo di 6.713,98 euro sia aumentato in misura pari all’incremento dell’importo del trattamento minimo delle pensioni a carico del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, rispetto all’anno precedente.
La Sentenza: a quanto ammonterà l’aumento
La Sentenza 152/2020 dichiara l’iillegittimità costituzionale proprio dell’articolo 38, comma 4, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, nella parte in cui, con riferimento agli invalidi civili totali, dispone che gli aumenti previsti (il famoso aumento ad un milione di lire) sono concessi «ai soggetti di età pari o superiore a sessanta anni» anziché «ai soggetti di età superiore a diciotto anni». Quindi l’aumento spetterà sulle pensioni a partire dai 18 anni e non più dai 60.
Nel frattempo è stato adeguato progressivamente sia il l’importo originario (516,46 euro) sia il limite reddituale (in origine 6.713,98 euro).
L’incremento oggi (2020) consente di arrivare a euro 651,51, per tredici mensilità se non si superano i seguenti limiti reddituali (ISEE non c’entra): euro 8.469,63 per il pensionato solo ed euro 14.447,42 per il pensionato coniugato. (Con una particolarità foriere di sperequazioni: per il beneficiario coniugato vale un doppio limite e cioè non deve disporre di redditi propri di importo superiore a 8.469,63 euro e – in aggiunta – i redditi cumulati con quelli del coniuge non devono superare i 14.447,42 euro),
Ma attenzione: quei limiti reddituali non funzionano come nelle provvidenze per le minorazioni civili (o si è dentro o si è fuori), ma in modo differente: vediamo di capire come.
L’invalido civile al 100% con un reddito personale (l’ISEE non c’entra) inferiore a euro 8.469,63 percepisce la pensione (286,81 euro) e teoricamente l’incremento pieno (364,70 euro) per un totale di 651,51 al mese.
“Teoricamente” abbiamo scritto perchè l’incremento seguirà la medesima logica di quanto previsto dall’articolo 38 della legge 448/2001 e, in genere, delle maggiorazioni sociali e quindi sì entro quei limiti reddituali ma solo fino a garantire un reddito proprio pari a 651,51 euro al mese per tredici mensilità.
Nella sostanza l’incremento “pieno” lo prende solo l’invalido a reddito/pensione (eventuale previdenziale) uguale a zero.
Qualsiasi altro reddito (es. pensione di reversibililità, reddito da lavoro part-time, pensione di invalidità previdenziale) fa scendere l’incremento fino ad azzerarlo.
Il meccanismo è già noto e spiegato nella Tabella M5 dell’allegato 2 della Circolare INPS 147/2019.
In realtà quindi l’incremento pieno lo prenderà solo una minima parte dei circa 530mila invalidi civili titolari di pensione.
Per l’estensione di tali disposizioni alla nuova Sentenza saranno dirimenti le indicazioni INPS, concordate con il MEF, che potrebbero riservare anche ulteriori sorprese.
Chi rimane fuori
La Sentenza accoglie il dubbio di legittimità costituzionale solo relativamente agli invalidi civili totali. A ben vedere l’articolo 38, comma 4 della legge 448/2001 prevede l’incremento anche per i ciechi assoluti e i sordi al compimento del sessantesimo anno di età. La Sentenza tuttavia non ne fa cenno. Il contenzioso è assai probabile se il Legislatore non interviene prima.
Ad ogni buon conto questo incremento non riguarda né i ciechi, né i sordi, né gli invalidi parziali né i minorenni, né i titolari di altre pensioni di invalidità previdenziale.
Non risponde al vero invece che siano esclusi dall’incremento i titolari di indennità di accompagnamento, come pure – al contrario – che sia necessario essere titolari di indennità di accompagnamento per poter contare sull’aumento. Erronei anche gli importi circolati in queste settimane.
Al momento attuale non va presentata alcuna richiesta: vanno attese le indicazioni di INPS sulle modalità e le forme per l’attivazione degli incrementi.
- Consulta la Sentenza della Corte Costituzionale 23 giugno 2020, n. 152
- Consulta la Circolare INPS 147 del 11 dicembre 2019 (Allegato 2, Tabella M 5)
28 luglio 2020
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