Il Tribunale Amministrativo Regionale, ancora una volta, è stato chiamato a pronunciarsi in relazione alle modalità di compartecipazione al costo per la fruizione delle prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria da parte delle persone con disabilità.
Questa volta, a pronunciarsi sulla questione è stato il TAR Veneto, terza sezione, con la sentenza n. 682/2022 a conclusione di un ricorso presentato da un amministratore di sostegno di una persona con disabilità per contrastare la richiesta di compartecipazione al costo da parte del Comune di Lonigo.
Tale sentenza che ha ritenuto illegittima e quindi anche annullato la richiesta del comune di Lonigo, è ancor più interessante perché il comune in questione, costituendosi in giudizio aveva, oltre che tentato di affermare la bontà della propria richiesta di compartecipazione, anche proposto un riscontro incidentale oltre all’annullamento o alla disapplicazione della norma fondante la disciplina, ossia l’art. 6, comma 2, del D.P.C.M. n. 159/2013, che appunto, nel definire i criteri per la compartecipazione al costo alle prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria rivolte ai maggiorenni, riconosce il diritto alle persone con disabilità di scegliere di presentare un ISEE c.d. “ristretto” che tiene conto del un nucleo familiare composto solo dal beneficiario e dall’eventuale coniuge e/o figli.
Per tale ragione, per via del fatto che questo ricorso incidentale che tendeva (o voleva tendere) ad un annullamento o disapplicazione di una norma fondamentale per i diritti delle persone con disabilità, sono intervenute in giudizio Federazioni ed Associazioni maggiormente rappresentative, tra cui FISH nazionale e Anffas Nazionale, per ribadire a gran voce il rigetto e l’inammissibilità del ricorso incidentale proposto.
Ma andiamo con ordine.
Un ragazzo con disabilità grave ai sensi dell’ art. 3 comma 3 L. 104/92, non autosufficiente, era stato inserito ad inizio 2021 in una RSA a seguito di una valutazione effettuata a fine dicembre 2020 che ne stabiliva la necessità oltre che la definizione delle compartecipazioni della retta; una parte a carico della ASL di riferimento ed una parte definita come “quota socio – alberghiera”.
Per definire pertanto la compartecipazione al costo, il ragazzo con disabilità richiedeva all’INPS la sua attestazione di ISEE ristretto ai sensi dell’art. 6 del DPCM n. 159/2013 per l’anno 2021 ed una volta ottenuta, richiedeva all’ente locale di provvedere alla definizione della compartecipazione a proprio carico nel rispetto del Decreto sopra detto, allegando l’attestazione ed il suo rendiconto economico, tramite il suo amministratore di sostegno.
Il Comune, non prendendo in considerazione il dettame indicato dal D.P.C.M. 159/2013 (senza neanche mai nominarlo nelle varie comunicazioni e diffide intercorse tra le parti), considerava erroneamente, la pensione di invalidità percepita dal ragazzo ai fini del calcolo della quota, senza invece, tener conto dell’ISEE quale unico parametro di riferimento, adottando pertanto criteri estranei ed in contrasto con il quadro normativo nazionale e internazionale di riferimento.
Nel giudizio intrapreso, il Comune si è costituito in giudizio eccependo nel merito, il carattere non lesivo degli atti oggetto di impugnazione, chiedendo non solo il rigetto del ricorso, ma addirittura proponendo a sua volta un ricorso incidentale per l’annullamento o la disapplicazione dell’art. 6 comma 2 del D.P.C.M. n. 159/2013, sperando di poter far cadere, per tutte le persone con disabilità in Italia, la norma fondante di tale disciplina.
Brevemente, occorre chiarire in che cosa consista un “ricorso incidentale”.
Quando un ricorso viene notificato alle parti interessate, e quindi il giudizio è già pendente, la parte resistente ed i controinteressati possono a loro volta decidere di impugnare quello stesso provvedimento (già impugnato) in quella parte che non è stata impugnata dal ricorrente ed eventualmente per motivi diversi.
Questa nuova impugnativa nei confronti del medesimo atto avviene attraverso la presentazione di un ricorso incidentale.
Possiamo dire, dunque, che il ricorso incidentale è lo strumento con il quale si consente alle parti resistenti ed ai controinteressati di proporre domande, il cui interesse sorge in dipendenza della domanda proposta in via principale (art. 42 c.p.a.).
Colui che propone il ricorso incidentale è detto ricorrente incidentale e, alla luce di quanto detto, può essere individuato in colui che impugna il medesimo provvedimento per motivi propri (ed eventualmente propone una diversa domanda) al fine di evitare le conseguenze negative dell’accoglimento del ricorso principale.
Tecnicamente, si tratta di una nuova domanda di ricorso con carattere accessorio che cade ove venga meno, per qualsiasi motivo, il ricorso principale.
Ciò posto, nel ricorso incidentale il Comune ha premesso che la famiglia del ricorrente (disabile grave), per evitare di supportare una parte dei costi della retta alberghiera, avrebbe scelto (sic!) di applicare quella parte della disciplina sull’ISEE che permette di escluderlo dal nucleo familiare cui di fatto appartiene (ma nel caso di specie neppure così era, vista la mancata convivenza), dimenticando il Comune che invece non a caso la norma prevede che, per le prestazioni socio-sanitarie in favore di persone con disabilità, tale condizione di disabilità non sia “scaricata” come un problema privato sulla famiglia, ma sia presa in carico da parte del nostro sistema di welfare nella costruzione di creare le condizioni di pari opportunità per tutti, specie in un ambito come quello dei servizi per la propria salute psico-fisica assolutamente incomprimibili e non condizionabili al censo. Del resto la richiesta del Comune di espungere dal nostro ordinamento la rilevanza del c.d. “Isee ristretto” avrebbe condotto in sé anche la conseguenza che, essendo l’ISEE anche un criterio di accesso alle prestazioni oltre che di calcolo alla compartecipazione dei loro costi, vi fosse il rischio di escludere in sé, a prescindere, il cittadino dall’accesso a prestazioni socio-sanitarie per mere ragioni di censo o familiari.
A seguito delle molte eccezioni di inammissibilità sollevate anche dalle Associazioni maggiormente rappresentative intervenute in giudizio, il TAR ha ritenuto fondata e assorbente (quindi senza necessità di procedere con l’esame delle altre questioni) quella in cui si era evidenziato, sia da parte del ricorrente che degli intervenuti, come il Comune non avesse interesse ad impugnare l’art. 6, comma 2, del D.P.C.M. n. 159/2013 nella parte in cui ammetterebbe, a detta del Comune, l’applicazione della disciplina più favorevole del calcolo ISEE per le prestazioni agevolate di natura socio-sanitaria in relazione a quei soggetti appartenenti a nuclei familiari che potrebbero sostenere per intero i costi della retta: il ricorrente, infatti, non faceva parte del nucleo familiare dei genitori, risultando in convivenza anagrafica per motivi di assistenza e cura ex artt. 5 e 6 del D.P.R. n. 223/89 e, come tale, doveva comunque considerarsi quale componente di un nucleo familiare a sé stante, richiamando la disposizione di cui al comma 6 dell’art. 3 D.P.C.M. n. 159/2013, disposizione che però non era stata oggetto di impugnazione.
Ha, pertanto, dichiarato inammissibile il ricorso incidentale.
Affrontata la questione incidentale nel merito, il TAR ha pienamente accolto il ricorso principale del ricorrente ed ha ribadito il necessario e rigoroso rispetto della disciplina ISEE ai fini compartecipativi.
In particolare, richiamando numerose sentenze e sottolineando i principi sanciti dal Consiglio di Stato, investito più volte della questione, ha chiarito che la disciplina in materia di ISEE costituisce “l’indefettibile strumento di calcolo della capacità contributiva dei privati in conformità alle prescrizioni delle indicate norme costituzionali e dei trattati internazionali sottoscritti dall’Italia per la tutela delle persone con disabilità gravi, e deve pertanto scandire le condizioni e la proporzione di accesso alle prestazioni agevolate al fine di garantire, in particolare, il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale e sanitaria ad ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere alla stregua degli artt. 32, 38 e 53 della Costituzione, non essendo consentita la pretesa di creare criteri avulsi dall’ISEE con valenza derogatoria o sostitutiva” (Consiglio di Stato, sez. III, 27 novembre 2018, n. 6708; id. 2 marzo 2020, n. 1505).
Il Consiglio di Stato inoltre, ricordando il principio secondo cui “non può essere riconosciuta ai Comuni una potestà di deroga alla legislazione statale e regionale, nell’adozione del regolamento comunale, in violazione della disciplina statale dell’ISEE, così come prevista dal DPCM n. 159/2013”, ha ulteriormente chiarito che “Quanto alla rilevanza dell’ISEE non solo ai fini dell’ammissione alla prestazione assistenziale, ma anche in merito al livello di compartecipazione al loro costo da parte degli utenti, deve richiamarsi la decisione di questa Sezione n. 1458 del 4 marzo 2019 che ha stigmatizzato la natura dell’ISEE come strumento di calcolo per la capacità
contributiva dei privati, con la conseguenza che non sono ammessi altri sistemi di calcolo delle disponibilità economiche degli utenti che chiedono prestazioni di tipo assistenziale o comunque rientranti nell’ambito della disciplina dell’ISEE”, aggiungendo che non avrebbe alcun senso lo sforzo della giurisprudenza prima e del legislatore poi con la legge 89/2016, di escludere i trattamenti assistenziali, previdenziali ed indennitari, percepiti da amministrazioni pubbliche in ragione della condizione di disabilità dal reddito complessivo ai fini IRPEF: la valutazione di tali trattamenti, espressamente esclusi dal calcolo dell’ISEE ai fini delle prestazioni assistenziali, si pone in palese contrasto con la normativa statale.
Inoltre il TAR specifica, qualora sussistano ancora dubbi al riguardo che sia la pensione di invalidità che l’indennità di accompagnamento esulano dalla nozione di “reddito” ai fini del
calcolo ISEE, in quanto non costituiscono incrementi di ricchezza, ma importi
riconosciuti a titolo meramente compensativo o risarcitorio a favore delle situazioni
di “disabilità”, richiamando sempre decisioni del Consiglio di Stato (Cons. Stato, Sez. III, n. 6371/2018; n. 1458/2019).
Di conseguenza, la definizione del livello di compartecipazione del costo delle prestazioni deve avvenire mediante l’applicazione dell’indicatore ISEE, così come determinato dall’art. 4 a seguito delle modifiche introdotte con la citata legge n. 89/2016 e, va da sé che le medesime indennità non possono essere ad altro titolo considerate reddito da valutare ai fini della compartecipazione al
costo dei servizi erogati.
Da ultimo è stato ribadito che il Comune non dispone di discrezionalità, né di potere normativo con riguardo alla valutazione di capacità economica del richiedente e/o della famiglia sganciata dall’ISEE.
Le entrate reddituali o le evidenze patrimoniali non calcolate ai fini ISEE, oltre che la presenza di sola pensione di invalidità o dell’indennità di accompagnamento, non possono costituire indicatori della situazione reddituale del richiedente e divenire criteri ulteriori di selezione, accanto all’ISEE, volti ad identificare specifiche platee di beneficiari, né divenire mezzo per l’ampliamento di
tali platee.
Una sentenza “granitica” che testimonia ancora di più la volontà di qualche Comune di alterare una disciplina normativa chiara costruita in accordo con i principi costituzionali e le normative internazionali che tutelano i diritti delle persone con disabilità.
13 Maggio 2022
Approfondimento a cura del Centro Studi Giuridici HandyLex di Fish Onlus
© HandyLex.org – Tutti i diritti riservati – Riproduzione vietata senza preventiva autorizzazione