Il Presidente dell’INPS Pasquale Tridico, in data 12 Luglio, ha illustrato alla Camera la relazione annuale sull’andamento e sulle erogazioni compiute dall’istituto per l’anno 2020 (qui di seguito il link) in cinque aspetti principali, oltre che una appendice:

  1. Caduta occupazionale, nuove professioni e riforma degli ammortizzatori sociali;
  2. Povertà e reddito minimo;
  3. Denatalità ed assegno unico;
  4. Spesa pensionistica e bisogno di flessibilità in uscita;
  5. Innovazione e flessibilità dell’INPS;

Nell’appendice viene fatto riferimento ad alcuni progetti di innovazione tecnologica per il miglioramento dei servizi ai cittadini, nonché della valorizzazione dei dati e la individuazione di soluzioni innovative per l’accessibilità.

Interessante, e speriamo attuabile nel breve termine, è il progetto pilota con altre Pubbliche Amministrazioni, per i servizi per la richiesta di benefici da parte della persona con disabilità, con l’obiettivo di migliorare il processo di gestione delle prestazioni erogate tramite collegamento di tutti gli attori.

Prima di entrare nel merito dei punti, il Presidente Tridico ha analizzato alcuni dati a livello numerico.

Ha rimarcato come il ruolo dell’INPS durante la fase emergenziale sia stato fondamentale per l’attuazione dei provvedimenti emanati dal Legislatore per attenuare gli effetti economici e sociali della pandemia.

Gli interventi che sono stati messi in atto dall’Istituto per emergenza Covid, hanno raggiunto oltre 15 milioni di beneficiari pari a circa 20 milioni di individui, per una spesa complessiva pari a 44,5 miliardi di euro.

In particolare, ad oggi tramite l’Istituto risultano aver ricevuto misure per emergenza pandemica:

  • 4 milioni e 300mila lavoratori autonomi, professionisti, stagionali, agricoli, lavoratori del turismo e dello spettacolo;
  • 6 milioni e 700mila lavoratori dipendenti beneficiari delle integrazioni salariali, che hanno ricevuto in totale oltre 32,7 milioni di pagamenti di indennità, per una spesa complessiva di 23,8 miliardi di euro;
  • 210mila disoccupati che hanno fruito del prolungamento del trattamento di disoccupazione (NASpI);
  • 515mila nuclei familiari ai quali è stata assicurata l’estensione dei congedi dal lavoro per favorire la conciliazione dell’attività lavorativa con le esigenze familiari e di cura;
  • 850mila nuclei familiari che hanno fruito del bonus baby-sitting;
  • 722mila famiglie con gravi difficoltà economiche alle quali è stato erogato il Reddito emergenziale (REM);
  • 216mila bonus per lavoratori domestici;
  • 1 milione e 800mila nuclei familiari (circa 3,7 milioni di individui) che hanno beneficiato del Reddito di cittadinanza o della Pensione di cittadinanza, che, nel corso della pandemia, ha costituito un potente strumento di sostegno del reddito nei confronti delle fasce più bisognose della popolazione e, al contempo, ha contribuito a ridurre il rischio di tensioni sociali.

Analizziamo ora i passaggi più importanti dei cinque aspetti principali.

Caduta occupazionale, nuove professioni e riforma degli ammortizzatori sociali.

La caduta occupazionale nel 2020 ha avuto un grande impatto: vi è stata una brusca caduta del fabbisogno lavoro nonché delle ore lavoro con conseguenti ricadute su una platea enorme di lavoratori.

Il blocco dei licenziamenti ha preservato molti posti di lavoro ma bisognerà valutare quale impatto vi sarà a seguito della sua rimozione (a maggior ragione per il cd. “lavoratori fragili” e cioè quelli più colpiti dalla pandemia ancora in atto).

Attenzione è stata posta alla erogazione, gestita nella quasi totalità dall’INPS, degli ammortizzatori sociali da parte dell’Istituto, lamentando tuttavia una “complicazione” della gestione amministrativa dovuta alla frammentarietà delle misure previste per la gestione dell’emergenza.

Tali “complicanze” però hanno portato ad importanti interventi semplificatori nell’accesso e la gestione degli ammortizzatori stessi.

Si sottolinea inoltre come la capacità di focalizzazione degli interventi deve richiedere un supporto amministrativo tempestivo, oltre che l’operatività delle banche dati.

Il legislatore non è sempre riuscito a supportare questa necessità con norme apposite, così come non ha previsto possibili attività di controllo ex ante sui percettori delle diverse indennità, facendo prevalere l’istanza di rilancio dell’economia.

Non appena la fase emergenziale andrà a chiudersi, occorrerà che si concentrino le risorse – in futuro più scarse – sui casi di maggior bisogno.

Occorrerà inoltre riequilibrare non solo i sussidi, ma anche la distribuzione delle tutele.

Povertà e reddito minimo.

La diseguaglianza nella distribuzione delle retribuzioni si è andata ampliando in modo preoccupante, quale effetto parallelo dell’allargamento della marginalità nel mercato del lavoro.

Esistono, secondo Tridico, delle indicazioni che anche nel nostro Paese, la precarizzazione nel mercato del lavoro proceda gradualmente ma inesorabilmente, richiedendo per questo interventi di contenimento.

La soluzione di queste segmentazioni non può realizzarsi, come pure in passato a volte è avvenuto, a scapito delle categorie protette, con una loro riduzione, ma aumentando le tutele per coloro che sono in posizione svantaggiata.

Un approccio di equità e tutele universali piuttosto che di difese categoriali.

Un primo passo in questa direzione potrebbe essere l’introduzione di un salario minimo.

Se una misura legale di questo tipo negli scorsi decenni poteva essere considerata irrilevante nel contesto italiano, data la forte e centralizzata contrattazione collettiva, nell’ultimo ventennio la capacità regolativa del CCNL è stata fortemente depotenziata.

Sembra inoltre che il salario minimo possa essere immaginato non solo come misura di contrasto alla povertà ma anche come fattore di crescita per altri indicatori di mercato.

I lavoratori sotto questa soglia sarebbero tra i 2 ed i 4 milioni.

E al pari di altre misure può avere impatti anche su variabili che vanno al di là del mercato del lavoro, come la salute e il benessere degli appartenenti alla famiglia del lavoratore, con un effetto positivo sulla stessa spesa sociale.

Effetti positivi si riscontrerebbero anche sulla finanza pubblica, con un aumento del gettito ed al tempo stesso, si potrebbe utilizzare il maggior gettito per defiscalizzare altre aliquote della contribuzione a carico delle aziende, come la Naspi.

Altro passaggio importante viene compiuto sul Reddito di Cittadinanza.

Questa misura di contrasto alla povertà, seppur introdotta prima della crisi pandemica, si è rivelata di particolare efficacia per affrontare l’aggravarsi del disagio economico dei soggetti più deboli esposti alla crisi.

Il disagio economico sociale è stato rilevato principalmente al sud Italia e nelle isole;

La maggior parte dei soggetti percettori del reddito di cittadinanza hanno un grado di prossimità al mercato del lavoro molto più ridotto rispetto agli altri percettori di sussidi, sia per le loro competenze ed età, sia per altre condizioni individuali.

Il principale obiettivo del RdC, che è un reddito minimo a tutti gli effetti, rivolto anche ai lavoratori (un quarto dei percettori ha un lavoro), è il contrasto alla povertà.

La occupabilità dei percettori di RdC, purtroppo, è molto scarsa.

Un gran numero di percettori di tale reddito è costituito da minori (1.350.000), disabili (450.000), persone con difficoltà fisiche o psichiche non percettori di pensioni di invalidità, oltre a circa 200.000 percettori di Pensione di cittadinanza.

Soprattutto per essi, la misura è stata un’àncora di salvataggio, uno strumento di inclusione sociale prima di tutto, una leva contro la regressione nella povertà assoluta.

Occorre pero che via sia una corretta gestione del RdC attraverso controlli sempre più capillari, riducendo al minimo il rischio di prestazioni indebite in maniera tale che le prestazioni arrivino alle persone effettivamente bisognose.

Denatalità ed assegno unico

Non lo scopriamo certamente oggi, ma siamo una popolazione dove vi è una denatalità in forte crescita.

Secondo l’Istat, “l’indice dipendenza” (il rapporto tra la popolazione non attiva sulla popolazione attiva) è da anni superiore al 50%; e l’indice di vecchiaia, dato dal rapporto tra la popolazione con età maggiore di 65 anni sulla popolazione con età inferiore a 14, continua a crescere con un aumento di oltre 5 punti percentuali tra il 2019 e il 2020, raggiungendo quota 179,3 anziani ogni cento giovani.

L’istituto rileva come, con una popolazione stabile che lavori per 40 anni, una riduzione delle nascite dell’1% non compensata da aumenti di produttività, richiede di lavorare 4,8 mesi in più per mantenere inalterato il valore aggiunto prodotto; e l’ingresso di lavoratori dall’estero, che rialzano i tassi di fertilità e/o occupano i posti di lavoro che restano scoperti, ha solo in parte compensato questo squilibrio.

In questo contesto, la domanda di welfare tenderà necessariamente ad aumentare per effetto dell’aumento della spesa sanitaria a causa dell’invecchiamento della popolazione e per l’incremento della spesa assistenziale.

Per far fronte a questo problema “endemico”, l’assegno unico introdotto il 1 luglio, può essere, secondo l’istituto, un passo nella giusta direzione.

La nuova misura, insieme ad una politica che miri ad incrementare la disponibilità e l’accessibilità degli asili nido, ed insieme a forti politiche di conciliazione famiglia-lavoro, potrebbe dare un contributo alla ripresa delle nascite e alla produttività.

Ma non è tutto: andrebbe reso il congedo di maternità obbligatorio e più lungo anche per gli uomini, e la contribuzione sulle donne madri agevolata, sia ai fini pensionistici che in termini di costo del lavoro per le aziende.

Occorre anche ripensare il ruolo dei giovani nella società italiana, lavorando a partire da scolarizzazione, occupazione, abitazione e uscita dalla famiglia di origine.

Tali aspetti, in particolare per l’INPS, necessitano di interventi specifici volti da una parte, a migliorare la qualità della formazione e, dall’altra a favorire un maggior assorbimento dal tessuto produttivo, capace di evitare quel fenomeno di “fuga di cervelli” che negli anni recenti ha caratterizzato le scelte di molti nostri giovani adeguatamente formati e specializzati.

Spesa pensionistica e bisogno di flessibilità in uscita.

Il rapporto tra numero di pensionati e occupati in Italia si mantiene su un livello che è tra i più elevati nel quadro europeo.

Oltre a ciò, l’istituto nella relazione non entra nel merito dei correttivi che bisognerà attuare per cercare di correggere la flessibilità in uscita poiché allo scopo e in attuazione della disposizione contenuta nella legge di bilancio per il 2020, è stata istituita un’apposita Commissione tecnica presieduta dal Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, composta anche da esponenti dell’Inps e alla quale l’Istituto presta ogni utile forma di supporto tecnico, che ha il compito di analizzare la classificazione delle voci della spesa pubblica italiana per finalità previdenziali e assistenziali in un’ottica di comparazione internazionale per poi apportare i correttivi più utili in un’ottica di ottimizzazione delle uscite.

Comunque l’Istituto ritiene come sia convincente fondare una distinzione tra previdenza e assistenza, sull’analisi della natura delle prestazioni di welfare.

In questa chiave di lettura, tutte le prestazioni il cui diritto è condizionato all’esistenza di situazioni di bisogno economico, rientrerebbero nella componente assistenziale della spesa sociale.

Vi è stata anche un’analisi degli effetti della pandemia da Covid-19 sui requisiti pensionistici e sui coefficienti di trasformazione.

La brusca diminuzione della speranza di vita a 65 anni nel 2020 causata dalla pandemia, ha riportato a un valore simile a quello registrato nel 2010.

Questo ha comportato un rallentamento della crescita dell’età di pensionamento per vecchiaia, rallentamento tuttavia temporaneo e che sarà riassorbito nell’arco di un decennio.

Gli eventi dell’anno pandemico e l’eccesso di mortalità che hanno prodotto, ci ripropongono le questioni legate ai livelli e alla periodica revisione dei coefficienti di trasformazione del “montante contributivo in rendita pensionistica” e cioè il capitale che il lavoratore ha accumulato nel corso degli anni “lavorati” sul quale poi sarà calcolata la pensione.

Un primo approfondimento mette in luce l’incoerenza di definire tali coefficienti con riferimento all’anno di pensionamento e non all’anno di nascita dell’individuo.

È chiaro che qui si scontrano due principi molto rilevanti: da un lato il principio secondo il quale ciascun individuo dovrebbe ricevere quanto ha versato diviso un numero di anni pari alla sua speranza di vita, che dipende da una ampia serie di fattori; dall’altro, l’esigenza di un sistema semplice e trasparente che permetta di creare gli incentivi corretti nell’arco della vita lavorativa.

I correttivi che l’istituto apporterà, sempre secondo la relazione, arriveranno dalla conoscenza e dall’analisi dei dati di ciascun assicurato.

Innovazione e rilancio dell’Inps.

Secondo la relazione, dal confronto con altre agenzie analoghe in altri paesi europei, l’Inps emerge come l’organizzazione con la gamma più ampia di prestazioni erogate ed il minor costo per prestazione fornita.

Il tema della riorganizzazione interna è un ambito toccato con grande enfasi.

Infatti si legge come l’istituto abbia già attuato un processo di innovazione tecnologica e digitale che però ha intenzione di implementare al fine di migliorare l’accessibilità alle prestazioni.

In particolar modo ha iniziato a valutare e implementare soluzioni moderne di Intelligenza Artificiale.

La corretta implementazione e automatizzazione in ambiti rilevanti ha il potenziale di migliorare notevolmente i servizi dell’INPS; sia riducendo quel lavoro dei dipendenti attualmente dedicato ad attività ripetitive a basso valore aggiunto ma anche riqualificandolo verso attività a maggior supporto al cittadino.

Potrà, nelle intenzioni dell’Istituto, raccomandare servizi specifici per le esigenze del singolo utente, personalizzandone anche l’approccio comunicativo, a volte più semplice ed essenziale o altre più articolato e completo.

Come risultato finale, il cittadino potrà godere di maggiore attenzione, accuratezza nell’identificazione dei suoi bisogni, tempi più rapidi nella risposta.

L’Istituto pone l’accento su una iniziativa che reputa di grande importanza come la Disability Card (qui un nostro articolo precedentemente pubblicato) ed inoltre sul tema della invalidità civile, per il quale è necessaria una riorganizzazione del processo di accertamento dell’invalidità, oggi frammentato e canalizzato su diversi attori istituzionali.  

Ritiene l’Istituto “come sarebbe giusto accentrare il processo di accertamento della malattia in Inps, evitando quello presso le ASL, semplificando le commissioni, per dare omogeneità di giudizio e tempi certi e brevi nelle decisioni”.

Nel medio periodo, poi, sarebbe necessario rivedere l’assegno di accompagnamento, modulandolo sul reddito e affiancando al contributo economico dei servizi di cura e assistenza alla persona.

In questo contesto di grande e consapevole spinta all’innovazione che sta caratterizzando oggi l’Inps, il rilancio dell’Istituto passa attraverso il nostro personale, a tutti i livelli, il cui sforzo e impegno nell’ultimo anno sono stati encomiabili.

In conclusione, dall’analisi dei cinque aspetti, emerge chiaramente l’intenzione da parte dell’Istituto di facilitare l’accesso alle prestazioni assistenziali in maniera più lineare e non frammentaria come avvenuto fino ad oggi, ed evitare “sprechi” e sperperi, indirizzando le misure assistenziali solo ed effettivamente sugli aventi diritto.

13 Luglio 2021

Approfondimento a cura del Centro Studi Giuridici HandyLex
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