Negli ultimi giorni, complici anche alcuni comunicati stampa istituzionali, sono pervenuti numerosi quesiti su ipotetiche nuove misure di sostegno per i caregiver familiari chiedendo conto sulla reale consistenza e soprattutto sulle modalità di accesso da parte dei potenziali interessati.
Facciamo subito chiarezza un punto: nessuna disposizione fissa al momento nuovi diritti soggettivi per i caregiver familiari, tantomeno di natura previdenziale o legata a prepensionamenti. Non c’è al momento nessuna domanda o istanza da presentare che non abbia rilevanza del tutto locale e Che non va confusa con interventi di natura sovraregionale.
Ma allora da dove proviene questa rinnovata aspettativa? Il 16 ottobre la Conferenza Unificata (Stato, regioni, autonomie locali) ha espresso parere favorevole ad uno schema di decreto di riparto del “Fondo caregiver” che dovrà ora essere firmato da due ministri: quello lavoro e delle politiche sociali (Catalfo) e quello della famiglia e delle pari opportunità (Bonetti).
È un decreto di riparto perchè suddivide circa 68 milioni di euro fra le Regioni.
Da dove arrivano questi quattrini? Afferiscono al “Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare”, istituito dalla legge di bilancio 2018 (commi 254-256 della legge 205/2017). Inizialmente aveva consistenza di 20 milioni per anno, poi incrementato di 5 milioni per anno dalla legge di bilancio 2019 (art. 1, commi 483-484, della legge 145/2018).
Digressione: quindi per il triennio 2018/2020 ci sarebbero 70.000.000 di euro e non i 68.314.662 ripartiti fra le Regioni.
Dove sia finito il 1.685.338 mancante lo scopriremo – forse – dalla lettura del decreto in Gazzetta Ufficiale.
Le risorse del Fondo erano originariamente destinate al sostegno “di interventi legislativi per il riconoscimento del valore sociale ed economico dell’attività di cura non professionale del prestatore di cure familiare”.
Nel frattempo però si è conclusa una Legislatura e ne è ampiamente iniziata un’altra ma il disegno di legge sui caregiver nella sua versione “unificata”, su cui peraltro vengono espresse non poche riserve, giace ancora al Senato.
La conseguenza è che il Fondo è rimasto fino ad oggi inutilizzato. Tuttavia, anche per aggirare il vincolo restrittivo della norma originaria, nel frattempo è intervenuta una nuova disposizione: il decreto legge 86/2018 (legge di conversione 9 agosto 2018, n. 97) all’articolo 3 ha modificato le modalità di impiego del Fondo stesso: la sua dotazione è destinata ad interventi in materia, adottati secondo criteri e modalità stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio, ovvero del Ministro delegato per la famiglia e le disabilità, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentita la Conferenza unificata. In pratica il Fondo si spende anche se il Parlamento non legifera.
E così, dopo diverse versione, il 16 ottobre 2020 la Conferenza Unificata sigla il suo avallo allo schema di decreto di riparto di cui tuttavia non esiste una versione ufficiale che, fra l’altro, verrà diverrà tale solo al momento della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Quindi fermiamoci un momento per fare il punto sulla domanda centrale: quando e come arriveranno questi quattrini effettivamente ai caregiver familiari?
Entrambi i Ministri devono firmare il decreto di riparto, e dopo i passaggi di rito, il testo diviene vigente con la sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Il Fondo viene ripartito alle regioni che lo attribuiscono ai loro capitoli di spesa e decidono le modalità con cui spenderli all’interno del perimetro di obiettivi fissati dal decreto stesso.
Nel fissare le regole di accesso a nuove prestazioni (può essere assistenza diretta o indiretta, o mista, o altro) le Regione ne danno notizia e, verosimilmente, i servizi territoriali ne raccolgono le domande su cui poi faranno le verifiche amministrative del caso.
Questo scenario fa comprendere che di nuovi sostegni se ne parla per il 2021 avanzato, ma non si sa esattamente in cosa consisteranno anche data l’elevata differenza territoriale e al contempo l’assenza totale di Livelli essenziali di assistenza, di Livelli essenziali delle prestazioni sociali, financo di Obiettivi di servizio.
Inoltre il Fondo così ripartito, pur assommando la destinazione di tre annualità è assai limitato rispetto ai bisogni, alle istanze, ai potenziali destinatari.
Questa limitazione di risorse innesca fatalmente conflittuali criteri selettivi. Il primo è già insito nella definizione di caregiver familiare adottata: essa, sorvolando su alcune scombiccherate incongruenze, si riferisce solo all’assistenza verso congiunti con grave disabilità (art. 3, comma 3, della legge 104/1992) escludendo tutte le situazioni, pur impegnative, in cui un familiare sia “solo” disabile o borderline o altro. La stessa, insostenibile razionalmente, limitazione prevista dalla legge 112/2016 sul “dopo di noi”.
Ma lo schema di decreto fissa addirittura, fra le priorità entro le quali le Regioni devono agire, la condizione della presenza di una disabilità gravissima, riprendendo la definizione, ipotizzata per tutt’altro contesto e con tutt’altre finalità, espressa dall’articolo 3 del decreto 26 settembre 2016 del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, norma che poi era il “Riparto delle risorse finanziarie del Fondo nazionale per le non autosufficienze, anno 2016”. Sono criteri molto stringenti anche perché elaborati per definire la dipendenza vitale dall’assistenza.
Ma è probabile che nemmeno questi due criteri selettivi siano sufficienti a restringere la platea dei beneficiari. A quel punto le Regioni avrebbero gioco facile per introdurre il terzo criterio: quello reddituale e quindi l’ISEE con ciò che ne deriva in possibile contenzioso.
Per completezza cronachistica vanno indicate anche le altre due priorità indicate alle Regioni. La prima è di sostenere i caregiver che non hanno avuto accesso a strutture residenziali a causa del Covid. Come si concretizzerà questo aiuto – se come forma di compensazione o altro – non è dato immaginare.
L’altra priorità accolta nel decreto è il sostegno a programmi di accompagnamento “finalizzati alla deistituzionalizzazione e al ricongiungimento del caregiver con la persona assistita.”
In questo quadro complessivo appare quanto mai evidente l’urgenza di una norma quadro che però fissi oltre a livelli essenziali di assistenza con relative risorse (non certo 25 milioni l’anno) diritti lavorativi, previdenziali, assicurativi congrui ed equi.
19 ottobre 2020
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